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LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI

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Ricordo bene la mattina del 7 agosto 2012. Stavo aspettando il treno per Nizza insieme a un amico e alla stazione di Genova Porta Principe comprai la Gazzetta perché d’estate in spiaggia la rosea è d’obbligo.
“Incredibile. Hanno squalificato Schwazer per doping” – dissi.

“Chi? Ah, quello della marcia!” – rispose il mio amico riconoscendolo in foto.

Nonostante fossimo due calciofili assetati di calciomercato rimanemmo sconvolti dalla notizia e non parlammo d’altro per tutto il viaggio.
Lessi l’articolo tutto d’un fiato e rimasi sorpreso perché mi sembrava un ragazzo genuino, un tipo semplice. Poi capii che era caduto in quella trappola perché era un ragazzo dal talento smisurato che a un certo punto non ha retto il peso di dover vincere per forza.

Credo che la marcia sia tra gli sport più faticosi e meno redditizi sul pianeta terra.

Scoprii Alex Schwazer nell’estate 2008 perché durante le Olimpiadi divento il più grande appassionato di qualsiasi sport, basta ci sia un italiano di mezzo. Ricordo quel biondo altoatesino che tagliò il traguardo commosso e distrutto dalla fatica. Ricordo le critiche per “troppa italianità” ricevute da alcuni tirolesi per aver festeggiato sventolando il tricolore. Lessi tutto il possibile su di lui e imparai che quell’oro lo aveva costruito un anno prima ai mondiali di Osaka, dove per un errore tattico vinse il bronzo ma si convinse di essere il più forte.

Mi rendo conto che avrei potuto vincere. Dentro di me so che sono il più forte.
E’ stata una grande lezione, oggi ho imparato cose che nessun allenamento può insegnare,
cose che spero mi tornino utili all’Olimpiade.

Gli torneranno utili, eccome se gli torneranno utili. Prima di entrare nel Nido di Pechino mostrò il bicipite come Braccio di ferro. Ai microfoni dichiarò che in quelle condizioni non lo batte neanche Superman, ricordò emozionatissimo il nonno appena scomparso ma soprattutto lanciò un sasso di cui nell’euforia della vittoria nessuno si accorse.

Sono uno che non imbroglia ve lo posso assicurare. E questo è già tanto.

Un attimo dopo aver battuto il record olimpico, nel giorno più importante della sua carriera, sottolineò di essere pulito denunciando tra le righe il marcio che investe lo sport che amava. Da lì in poi non riuscirà a convivere con sé stesso e faticherà ad accettare la responsabilità di essere il numero uno.
Si era allenato ossessivamente per anni, esercitando perennemente la mente a non mollare, pur sapendo che da qualche parte altri stavano facendo lo stesso iniettandosi sporcizia nelle vene.
Gli schizzi arriveranno anni dopo, bagnando tutti coloro i quali si illudevano che l’atletica fosse un laghetto incantevole. Al momento della squalifica Schwazer dichiara che i russi si dopano da anni e guarda caso un paio di mesi fa è scoppiato uno dei più grandi scandali di doping nella storia dello sport. Il report della Wada parla di test manipolati, controlli elusi, tangenti pagate alla Iaaf per cancellare positività. Nel calderone sono finiti tecnici, atleti e dirigenti federali, sull’Olimpiade londinese si allunga un ombra di sabotaggio frutto di 8 ori, 4 agenti e 5 bronzi quasi tutti dopati dai russi.

Non avevo mai prestato attenzione alla marcia, anzi la consideravo un po’ buffa con quel continuo ondeggiare dei fianchi. Solo dopo aver letto la storia di Schwazer scoprii le fatiche e i sacrifici che ci sono dietro questa disciplina.
L’atletica non dispensa notorietà come il calcio e improvvisamente una vittoria gli ha cambiato la vita. Si è fidanzato con la campionessa di pattinaggio Carolina Kostner entrando, anche se marginalmente, nel mondo del gossip. Probabilmente l’ultima cosa che avrebbe voluto.

(FILES) Photo taken on August 22, 2008 shows Italy's Alex Schwazer posing with his gold medal on the podium of the men's 50 km walk of the 2008 Beijing Olympic Games. Italy's reigning 50km walk champion Schwazer has been withdrawn from the London 2012 Olympic games for failing a drugs test, a source with knowledge of the case confirmed to AFP on August 6, 2012. AFP PHOTO / FABRICE COFFRINI (Photo credit should read FABRICE COFFRINI/AFP/GettyImages)

Una carriera da record la sua. Nel 2005, a soli 21 anni, è già campione italiano, ai mondiali di Helsinki conquista il bronzo abbassando il record nazionale nella 50 km e nel 2007 a Rosignano lo migliora ancora. Ai mondiali di Berlino nel 2009 deve abbandonare la 50 km per dolori allo stomaco ma nel marzo 2010 migliora ancora il record italiano nella 20 km di Lugano. In virtù di questo tempo è il favorito agli Europei di Barcellona del 2010 ma nella 20 km arriva dietro a Emel’janov. Quattro anni più tardi il passaporto biologico del russo viene trovato irregolare, guarda un po’, e la medaglia d’oro viene assegnata di diritto a Schwazer.
Nell’agosto del 2011 arriva il primo grande fallimento ai mondiali di Daegu col nono posto nella 20 km. Rivela a qualcuno di voler staccare, nonostante abbia solo 26 anni è scarico e desideroso di staccare ma le Olimpiadi sono alle porte e il campione non può mancare questo appuntamento. Qualcosa nella sua mente si è già rotto da un pezzo e un anno dopo cede alla tentazione del doping a pochi giorni dalla gara della vita, la 50 km dei Giochi Olimpici di Londra.

Ricordo bene la conferenza stampa a poche ore dalla positività al test antidoping. Provai compassione per quel ragazzo magrissimo e distrutto dal senso di colpa. Si addossò tutte le colpe nonostante molti non credessero che avesse agito da solo. Scagionò persino il dottor Ferrari da cui ricevette solo tabelle di allenamento e da cui prese le distanze subito dopo aver appreso del suo coinvolgimento nello scandalo doping dei ciclisti nel 2011.

Mi sembrò semplicemente un ragazzo caduto in depressione, un male oscuro da cui nessuno è immune, spiegato alla perfezione da Alessia Trost, altista friulana: “Mi chiedo cosa possa spingere ad azioni simili e credo che la risposta non sia il desiderio di vincere ma la paura di perdere”.

Proprio così. Si è sentito oppresso dall’imperativo di vincere, in quel momento della sua vita avrebbe dovuto staccare la spina ma è difficile dire ‘basta, mi fermo’ quando sei il migliore. Non aveva più la forza di allenarsi 35 ore alla settimana facendo sempre la stessa cosa ma per non deludere le persone attorno a lui è salito su un volo per la Turchia per procurarsi l’eritropoietina. Perché si può essere soli pure da numeri uno, quando attorno a te vedi solo aspettative e nessuna comprensione.

Il giorno dopo la squalifica la Ferrero rescisse il suo contratto ma ritrovarsi senza sponsor era l’ultimo dei problemi visto che aveva già sofferto una solitudine ben più grande: quella che si prova a infilarsi un ago nel braccio all’insaputa di tutti. Aveva voglia di scappare da tutta quella pressione e da sé stesso ma come dice Ivan Benassi nel monologo di Radiofreccia da te non ci scappi nemmeno se sei Eddy Merckx e infatti la fuga di Alex dura poco.

Ci sono stati dei momenti in cui ho odiato essere me stesso
perché avere più talento degli altri e più classe degli altri non è sempre positivo.
Se vinci l’Olimpiade a 23 anni vuoi sempre fare di più e
con questo mi sono svuotato mentalmente.

Racconta di essersi informato su internet, che in Turchia con 1.500 euro nessuno fa troppe domande, di averla nascosta nel frigorifero per un anno dicendo che erano vitamine.
Il giorno in cui Alex Schwazer ha confessato tutto questo sono diventato suo tifoso, non quando è salito sul gradino più alto del podio. Perché con quelle parole si è messo a nudo mostrando tutte le debolezze umane e in quella fragilità mi sono rivisto, innamorandomi irreversibilmente.

Ricordo bene anche un’intervista rilasciata alle Invasioni Barbariche di Daria Bignardi in cui raccontò l’angoscia di quei giorni, quando il 30 luglio 2012 bussarono alla sua porta per un controllo a sorpresa e invece di nascondersi, perché se ne possono saltare due in 18 mesi, si sottopose all’esame pur sapendo di essere positivo. Desiderava soltanto che quell’incubo finisse.

Ho buttato via tutti gli anni in cui mi sono allenato
ma sono anche contento che sia tutto finito e
forse adesso riuscirò ad avere una nuova vita normale.

C’è una cosa che mi ha commosso più di tutte in questa storia: essere riuscito a convivere con la menzogna non più di due settimane. Lance Armstrong l’ha fatto per sette anni e per fare una cosa del genere secondo Schwazer bisogna essere uomini di ferro. Lui è fatto di carne e ossa come tutti noi e precisa che chi ha più classe vincerà sempre senza doping.

Si dice sempre che col doping psicologicamente si va più forte
ma per me è stata una mazzata.

All’epoca del talk show dichiarò di non voler pensare alla marcia, che molti gli avevano voltato le spalle, allenatori e dirigenti, e tutti quelli che si aspettavano solo vittorie erano spariti. Era rimasto solo ma poteva ricominciare a vivere.

Collaborare non è servito a nulla perché la giustizia sportiva gli ha inflitto una pena esemplare: 3 anni e 6 mesi.

L’atletica italiana recentemente è stata scossa da un altro terremoto. All’inizio di dicembre la Procura Antidoping ha chiesto la squalifica di due anni per 26 atleti colpevoli di aver eluso i controlli. Il doping apparentemente non c’entra nulla, si parla di un malinteso, un errore di procedura su cui presto il Tribunale farà chiarezza e il presidente della Fidal Aldo Giomi si dichiara tranquillo. Sarà, ma a nove mesi dalle Olimpiadi di Rio lo scandalo non ha certo fatto bene a un ambiente i cui protagonisti sono costretti a vivere da sorvegliati speciali comunicando tempestivamente i propri spostamenti. Fra i nomi illustri c’è Andrew Howe per esempio, insieme a lui molti rischiano di non partecipare ai giochi brasiliani.

Tornando a Schwazer, il suo nome ha avuto un peso diverso, come se dovesse pagare per molti altri. Con la squalifica fino al 29 aprile 2016 hanno cercato di escluderlo per sempre dallo sport a cui aveva dato tutto. Hanno provato a sfinirlo permettendogli di tornare alle gare soltanto a 31 anni suonati. Ma non avevano calcolato che Alex Schwazer, se sta bene, non lo batte neanche Superman. E siccome è tornato a star bene, soprattutto mentalmente, ha ripreso a marciare, perché in fondo è la cosa che gli riesce meglio, e durante uno dei suoi infiniti allenamenti gli è venuta una folle idea: la squalifica termina una settimana prima della Coppa del Mondo in Russia …e allora perché non provarci?

Non so ancora cosa mangerò stasera ma so per certo cosa farò l’8 maggio 2016. Sarò davanti alla tv per guardare un ragazzo marciare a Čeboksary, che non so manco dove sia, sperando che quel ragazzo stacchi un biglietto per le Olimpiadi. Sarebbe una bella rivincita verso gli ipocriti che l’hanno demonizzato.
In questo popolo di santi, poeti e polemizzatori Alex Schwazer è un talento che aveva smesso di riconoscersi allo specchio. Ha chiesto scusa e si è vergognato del proprio gesto, ha pagato un conto salatissimo ed è tornato a faticare senza incolpare nessuno per i propri errori.
Dovrà arrivare tra i primi otto per qualificarsi e se potessi mi sobbarcherei almeno un decimo della sua fatica.
Infine ho un sogno: vorrei che quell’atleta, che prima di tutto è un uomo, a Rio ci andasse da portabandiera ma se così non fosse non importa perché provo un’inguaribile ammirazione per chi sprofonda negli abissi e tenta di risalire.

Quindi Alex Schwazer, per quello che vale, indipendentemente da come andrà quella gara per me ha già vinto.

Un amico serve quando hai torto,
quando hai ragione non ti serve a niente.
(Un mercoledì da leoni)




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