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LE SLIDING DOORS DI FABIO CUSARO

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Dal Cesena di Giaccherini al ritiro coi disoccupati, dalla promozione fra i cadetti alla provincia in serie D, fra strade sbagliate e salvezze miracolose, tutto senza rancori. Una carriera segnata da un grave infortunio e non ancora finita.

Cesena, estate 2009. Se passeggiando sul lungomare aveste chiesto al piadinaro di turno quali fossero gli artefici della promozione in serie B, insieme al nome di Giaccherini e Schelotto, vi avrebbe certamente fatto quello di Fabio Cusaro, ragazzo arrivato in punta di piedi tra lo scetticismo generale, che scalò le gerarchie fino a diventare un paladino dei “Bisoli Boys”. A fine stagione entrerà nel cuore della Curva Mare e nella top 11 di Lega Pro ma purtroppo, pochi mesi dopo aver toccato il cielo con un dito, la sua carriera cambierà per sempre. Questa è la storia della sua maledetta sliding doors.

A pallone ci possono giocare tutti, a calcio soltanto in pochi – Arrigo Sacchi dixit. Poi ci sono quelli che il grande calcio, quello col nome dietro la maglia, lo hanno solo assaggiato. Talenti buttati via da una testa troppo matta e giocatori che si sono divisi tra il campo e un lavoro vero mangiando pane duro. Quella di Cusaro è la carriera che prende un’altra strada a causa di un infortunio, un episodio che segnerà il crocevia della sua vita professionale.

Niente parentele o raccomandazioni per un ragazzo nato tra le risaie e cesciuto lontano da settori giovanili importanti. Un storia umile, come lui, iniziata coi libri portati sottobraccio in ritiro sperando di entrare tra i diciotto, prima o poi. E così arriva l’esordio da professionista nella sua Novara, con la squadra guidata dal duo Foschi in panchina e Sergio Borgo direttore sportivo.
Quello con la sua città sarà un rapporto ‘odi et amo’ che prima lo seduce e poi lo costringe a cercare spazio altrove

Che ricordi hai dell’esordio?
“Non un gran ricordo. A Bolzano entrai dopo poco perché si infortunò Stefano Granata. Giocai terzino destro, l’Alto Adige in quella stagione era forte tant’è che arrivammo a giocarci la C1 nel play off proprio contro di loro. Nemmeno il tempo di rendermi conto e su un lancio lungo Zecchin stoppò la palla e fece gol. Perdemmo 3-2, sfiorai un gol su calcio d’angolo ma tutto sommato non fu un grande esordio, ero abbattuto per l’errore e per la sconfitta”.

Ancora giovanissimo ne vede passare tanti sulla panchina azzurra, dagli esordi con Foschi alla stagione dei tre allenatori Venturini, Jaconi e Gattuso. Nell’estate 2005 però iniziano i problemi e, visto che nessuno è profeta in patria, decide di scendere in C2 per trovare continuità, destinazione Valenza.

Il mancato feeling con Cabrini ti ha negato la soddisfazione di giocare al Ferraris di Genova.
“Praticamente Cabrini non l’ho nemmeno conosciuto. Ho fatto solo qualche settimana di ritiro. Dovevo andare alla Reggiana, dove era andato l’ex allenatore del Novara Foschi, per giocare con continuità. Ero molto contento della soluzione. Dovetti partire per le universiadi e quando ero là mi dissero che con la Reggiana era saltato tutto. Andai poi alla Valenzana per trovare spazio ma non giocai molto. Però fu una stagione importante perché tatticamente imparai molto da Giovanni Pagliari che ritrovai poi a Foligno”.

Tornato a casa, sulle note di un altro valzer di allenatori (Sacchetti, Gattuso e Greco), si guadagna una maglia da titolare e il primo gol da professionista. E’ la stagione della consacrazione ma Fabio non sa che dietro l’angolo lo aspetta la prima inattesa sliding door della carriera. Siamo nell’estate 2007 e a Novara c’è aria di cambiamento. Pippo Resta passa il testimone alla famiglia De Salvo, proprietaria di policlinici, che in quattro anni porta a Novara la serie A. Qui, dove bisogna pure condividere il nome dello stadio coi cugini vercellesi, il grande calcio mancava da così tanto tempo che alla città non sembra vero, la sensazione è quella di una turnè del grande calcio in cui per un giorno, quasi per caso, si fermino Ibrahimovic e Cavani.

E’ tutto sovradimensionato, come il faraonico Novarello, centro sportivo alle porte della città che si presta pure al ritiro del Barça di Messi e soci. Ma Fabio non fa parte di questo circo, le strade si sono già divise nel gennaio 2008, a un passo dalla rampa di lancio, quando finisce a Cesena nello scambio che porta a Novara l’esperto Berti.

Di colpo ti ritrovasti in una grande piazza di serie B. Un salto improvviso e forse inaspettato.
“A inizio anno a Novara giocavo titolare ma nel periodo novembre-dicembre avevo iniziato ad alternare alcune partite giocate, altre in panchina. A gennaio finivo spesso in panchina e quindi mai mi sarei aspettato di andare in serie B. Fu un ‘regalo’ del direttore che nell’ultimo giorno di mercato mi chiamò e disse: ‘Vieni a firmare a Milano che vai a Cesena’. Sinceramente non stavo seguendo il campionato di B e non sapevo in che posizione fosse. Guardai il televideo e la vidi ultima con 16 punti. Ma la serie B è la serie B e quindi presi la macchina e andai a Milano. Poi tornai a casa per fare la valigia e ripartii per Cesena. Non sapevo sinceramente nemmeno la strada, ero felice ed emozionato. Sbagliai strada due volte, non avevo il navigatore. Prima presi per Ravenna poi ritornai sulla strada giusta ma arrivai fino a Rimini. Dovetti tornare indietro. Arrivai a mezzanotte passata a Cesena…”

Ci fu un ping pong tra Castori e Vavassori sulla panchina cesenate ma nessun problema per Fabio che si tolse pure la soddisfazione del gol partita contro l’Avellino.
“Fu una bella emozione che durò pochi istanti, in quei momenti hai poco tempo per pensare a ciò hai fatto. Pochi istanti anche perché fui ‘placcato’ da Daniel Ola, mio compagno dal fisico poco longilineo, che mi abbracciò vigorosamente. Emozione doppia perché vincemmo 1-0 e potevamo ancora sperare nella salvezza, che purtroppo però non arrivò. Fu un susseguirsi di emozioni perché due settimane prima avevo esordito in B”.

A Cesena, capitale calcistica della Romagna, conosce l’amore folle della tifoseria e personaggi come Davide Moscardelli, bomber di provincia dai grandi colpi diventato un’icona a Bologna per il look tra hypster e unconventional.
“E’ un ragazzo molto tranquillo che a volte si inventava acrobazie strepitose e gol spettacolari. Gli piacciono le auto veloci ribassate o con gli alettoni, quelle un po’ da tamarro”.

In quel Cesena c’era pure un giovanissimo Vasco Regini. Che effetto ti fa vederlo alla corte di Mihajolovic? Ti aspettavi potesse arrivare così in alto?
“Aveva grandi mezzi fisici ma sinceramente non pensavo facesse tutta questa strada. Complimenti a lui”.

Nell’estate 2008 arriva Pierpaolo Bisoli e i bianconeri rinnovano il prestito di Cusaro che si rimette al tavolo di una categoria che conosce molto bene. Ha le carte giuste da giocare ma il tecnico ci mette un po’ ad accorgersene e a inizio stagione è ai margini della rosa. Fabio si ributta nel lavoro, come sempre, e a testa bassa si ritaglia uno spazio sempre maggiore fino a diventare titolare e protagonista della promozione in serie B.
“All’inizio non fu facile perché tutto l’ambiente veniva dalla retrocessione. Mister nuovo e molto esigente. Nella seconda partita di Coppa Italia a Salerno fui schierato terzino, feci una sovrapposizione azzardata sul 2-1 per loro. In quella azione loro recuperarono palla e chiusero la partita 3-1. Bisoli si incazzò parecchio con me e mi disse di tutto. A ripensarci mi viene da ridere. Ancora non lo conoscevo bene. Le prime dieci partite circa di campionato non giocai e a gennaio ero intenzionato ad andar via. Poi tra infortuni di qualche compagno e la mia tenacia negli allenamenti riuscii a entrare in squadra e diventarne un titolare. In quella stagione feci due gol pesanti contro Verona e Padova in due momenti cruciali della stagione. Fu veramente una stagione spettacolare. La migliore della mia carriera”.

I gol contro Verona e Padova

Per quel ragazzo poco considerato nella sua città e su cui nessuno avrebbe scommesso arriva così il 17 maggio 2009, una data che il popolo di Cesena non scorderà mai, il giorno che premia i bianconeri dopo un testa a testa lunghissimo con la Pro Patria. Il Bentegodi accoglie l’esodo dei tifosi romagnoli che sperano di tornare tra i cadetti. Và in scena Verona-Cesena, ultima di campionato.
“Eravamo andati due giorni prima in ritiro a Verona. La notte prima dormii poco, anche perché entrava la luce dalle tende della stanza. Arrivammo allo stadio e il settore dei nostri tifosi era già tutto pieno…emozioni da brividi. Degli spogliatoi ricordo poco, solo che non riuscivamo a capire il risultato di Padova-Pro Patria, fondamentale per noi. Poi due minuti lunghissimi per aspettare la fine dell’altra partita e la gioia immensa”.

L’accoglienza ricevuta al ritorno in città fu trionfale. Una notte folle?
“Della festa ricordo la piazza piena che cantava e saltava insieme a noi che eravamo arrivati sul palco. La notte non fu folle sia perché ero cotto sia perché volevamo goderci bene la festa. Cena tutti insieme e mille foto e sorrisi”.

Giaccherini, Djuric, Schelotto, sono nomi conosciuti per aver raggiunto palcoscenici più importanti ma chi altro fece la differenza?
“Veramente tutti. Dal magazziniere allo staff e ovviamente la squadra. Eravamo una grande famiglia e questo si rispecchiava in campo. Non e’ una frase fatta…giuro. Stavamo bene insieme. A volte può pesare andare al campo e far fatica, invece quell’anno era un piacere andare agli allenamenti e stare insieme ai compagni. Questo clima permetteva a tutti di dare quel 10-15% in più”.

Cusaro 29

Nell’estate 2009 arrivano i rinforzi per affrontare la serie B come lo stagionato ma affidabile Antonioli tra i pali, Marco Parolo a centrocampo e Cristian Bucchi in attacco.

Si parte con una sconfitta immeritata in casa con la Reggina e un pronto riscatto a Gallipoli. Il 6 settembre và in scena la terza giornata di campionato. Il Cesena conduce senza problemi il vantaggio maturato da Djuric contro il Cittadella ma un’assurda espulsione di Petras costringe Bisoli a correre ai ripari buttando nella mischia un difensore. Il cielo romagnolo è terso, il Manuzzi ribolle sotto il sole, è la cornice bellissima di un’altra sliding doors, stavolta terrificante. Fabio entra a freddo ma non è tipo da tirare indietro la gamba e quando De Gasperi scappa verso la porta si mette tra l’avversario e il pallone. La conseguenza sarà fatale: frattura scomposta ed esposta di tibia e perone.
Sono passati meno di quattro mesi dalla giornata più bella della sua carriera. E’ un paladino di Bisoli tanto che a fine partita in sala stampa dichiarerà: ”Preferivo perdere ma avere Cusaro”. Sarà l’ultima partita con la maglia bianconera.

Il servizio di “90° minuto” di Cesena-Cittadella

Fabio vive la stagione guardando i compagni e inseguendo il recupero. Si parla addirittura di carriera finita vista la gravità dell’infortunio ma non molla e le centinaia di ore in palestra e le terapie lo aiutano, il resto lo fa l’enorme voglia e la dedizione al sacrificio, al lavoro. E’ il momento più duro della sua vita e anche se da comprimario vive la promozione ancor più inattesa in serie A che ricorda si festeggiò “con lo stadio pieno e il bagno nella fontana a fine serata”.

Tornando a quel maledetto incidente senti che qualcuno ti abbia voltato le spalle dopo l’infortunio, qualcuno che non ha mantenuto delle promesse perché non credeva più in te?
“No, anche perché non mi aspettavo niente da nessuno. E’ un mondo in cui o sei bravo bravo, e allora la società ti aspetta anche dopo un infortunio, o se sei nella media, come ero io, si fa presto a essere rimpiazzato. Come normale che sia. Quindi tornare a giocare nel modo in cui sapevo fare era solo una sfida con me stesso”.

cusaro-paroloCusaro con Parolo e Giaccherini in una visita benefica a un’associazione cesenate

Il destino lo porterà in Seconda Divisione a Bellaria, coscietà satellite, dove il Cesena ne osserverà il recupero da vicino. Lavora duro, come sempre, con la speranza di tornare alla base ma da lì in poi avrà sempre la valigia in mano: Foligno, Monza, Alessandria, Tritium le tappe di una carriera densa di battaglie e salvezze miracolose.

Facciamo un passo indietro, proprio a Foligno, quando arrivasti nel gennaio 2011 in una situazione molto critica e alla fine lasciasti il segno vincendo un drammatico play out.
“Bellissimo ricordo. Avevamo già vinto l’ultima di campionato. Rischiavamo la retrocessione se avessimo perso a Cava de’ Tirreni, dove con tutto il rispetto non c’è lo stesso clima di Montichiari o Trezzo. Loro per salvarsi dovevano assolutamente vincere ma finì 2-2. Nel frattempo la Ternana al 90° vinceva 2-1 ed era salva ma al 93° perse 3-2! Sentivamo di poter solo vincere per come era andata l’ultima di campionato…e poi sarebbe stato un derby! Mister Pagliari fu bravissimo a ricompattare il gruppo con la favola dei ranocchi che diventano principi. Ci colpì molto quella favola e il gruppo si unì ancora di più. Affrontammo le ultime tre gare con una compattezza rara, forse mai vista in tutta la stagione. La salvezza arrivò solo al 94° della gara di ritorno nel derby con la Ternana ma eravamo sempre stati convinti di potercela fare nell’arco delle due partite. Mi ricordo che al 90° ero comunque convinto di farcela e incitavo i compagni, qualcuno mi guardava storto perché mancava davvero poco. Ma alcune cose proprio te le senti, sono sensazioni che percepisci”.

cusaro-folignoLa presentazione a Foligno

Nemmeno il tempo di abituarsi al clima umbro che è già tempo di nuove sfide, stavolta più vicino a casa, ma l’esperienza di Monza da subito non prende la giusta piega come ammette: “No a Monza non feci bene. Bisogna ammetterlo quando non riesci a esprimerti e giocare come sai. La squadra non andava benissimo e anche io feci male”.

Così a gennaio accetta la proposta di una nobile decaduta come l’Alessandria e di scendere in Seconda Divisione “perché era una squadra ambiziosa” – ricorda – “con l’obiettivo di raggiungere i play off ma arrivammo qualche punto sotto l’obiettivo purtroppo”.

La stagione 2012/2013 è l’ultima in Lega Pro, a Trezzo d’Adda con la maglia della Tritium in Prima Divisione, campionato avarissimo di vittorie dove però conquista un’altra salvezza miracolosa, stavolta vincendo contro ogni pronostico il play-out contro il Portograuro. Una vera ‘mission impossible’.
“Con la Tritium fu veramente la mia peggior stagione” – ammette – “il gruppo non era compatto per usare un eufemismo e la stagione si concluse con soli 17 punti. Nei play out però i valori tecnici vennero fuori e ci comportammo veramente bene. Forse il play out vinto in maniera più inaspettata per come era andata la stagione”.

cusaro-tritiumCon la maglia della Tritium

Difensore centrale, forte fisicamente, utile anche come terzino destro, ha tra i pregi un ottimo tempo di inserimento sulle palle inattive, basti pensare che da professionista ha segnato con tutte le maglie tranne Valenza. Dato curioso per un difensore, non trovi?
“Se più del 70% dei gol in un campionato arriva da palla inattiva, sono abbastanza in linea con questo dato. Ci sono però molti difensori con uno score migliore del mio e vorrei aumentare un po’ la mia media nei prossimi anni”.

Alla soglia dei trent’anni hai vissuto il ritiro coi “disoccupati” proprio a Novarello, un passaggio amaro prima della serie D o solo una porta tra la vita da professionista e quella da semipro?
“Chiaramente quando ti ritrovi senza squadra mentre tanti tuoi compagni partono per il ritiro pre campionato non è un momento piacevole. Ma in quel ritiro ero partito con la speranza di trovare una sistemazione in C prima dell’inizio del campionato e quindi c’era solo da lavorare per farsi trovare in forma. Fu comunque positivo perché tutti ci trovavamo nella stessa situazione e quindi c’era un clima piacevole anche in classe”.

In classe, proprio così, perché parallelamente segue il corso da allenatore e stare sui banchi non è poi una grossa novità visto che, sfatando il cliqué classico del calciatore, più che tatuatori e privè non ha mai smesso di frequentare l’università.
“Ci sono diversi ragazzi che frequentano l’università. Sono stereotipi ai quali cerco di non pensare. Mi sento un ragazzo normale che fa entrambe le cose. Sto ancora studiando e mi mancano pochi esami alla laurea magistrale. Vorrei finirla il più presto possibile. Probabilmente se avessi la stessa tenacia che ho per il calcio l’avrei già finita. Ma conto di farlo nel più breve tempo possibile”.

Continuando gli studi di Economia hai potuto partecipare alle Universiadi. Che ricordi hai di quella esperienza?
“Tre edizioni molto intense. Culminate tutte con tre sconfitte in finale, quindi con tre argenti. Sono stati tutte molto piacevoli. In quelle occasioni si crea inevitabilmente un clima di divertimento, misto a intenso lavoro, grande partecipazione e spirito di gruppo da parte di tutti per raggiungere le medaglie. Chiaro almeno un oro avrei voluto vincerlo!”.

Alla fine di quel ritiro coi “disoccupati” però non trova un ingaggio da professionista e si cala in una dimensione completamente diversa, in serie D a Pesaro, dove però i biancorossi sono accompagnati da 700 spettatori, cifra incredibile per la categoria. E’ la chioccia di un gruppo di giovani lontani dagli stadi in cui ha giocato ma quando ne parla traspare un ricordo piacevole.
“A Pesaro mi sono trovato molto bene perché la squadra era formata da molti ragazzi del posto che tenevano particolarmente alla squadra in cui giocavano, alcuni di loro molto ambiziosi, con le norme già introdotte in C e con le regole dei giovani non mi pesò assolutamente essere un dei più anziani anche perché già lo ero stato negli ultimi anni”.

Esperienza ripetuta quest’anno a Fermo dove, manco a dirlo, si sono affidati a te per ottenere l’esperienza necessaria a raggiungere la salvezza.
“Fermo è una piazza particolare nella quale mi trovo molto bene. Sento particolarmente le responsabilità essendo il capitano e il più anziano ma non mi pesa perché rimane uno stimolo a migliorare e ad essere sempre di esempio”.

cusaro-fermanaOggi capitano della Fermana

A Cesena hai scritto le pagine più belle della tua carriera e molti della Curva Mare non ti ha dimenticato. Hai ancora contatti con la tifoseria o la società?
“Sì ho diversi amici in quelle zone, più per la loro disponibilità a socializzare che per un mio passato da calciatore lì” – e sorridendo conclude che gli sembra esagerato dire che la curva non l’abbia dimenticato.

C’è un avversario che hai temuto particolarmente? Uno che la sera prima ti faceva pensare “domani ce l’ho dura”.
“Sinceramente i primi anni dormivo poco la sera prima della partita, un po’ per la tensione e un po’ perché dormo poco già di mio. Col passare degli anni ho cominciato a dormire senza pensarci particolarmente. C’è tempo il giorno dopo per pensarci”.

C’è un compagno che ti ha dato di più?
“Non ho una persona con la quale ho legato particolarmente. Sia nel secondo anno di Cesena che a Foligno ho legato parecchio coi compagni e ognuno a suo modo ha dato a me qualcosa di sostanzioso dal punto di vista umano in quel periodo. Purtroppo ho cambiato spesso squadra ed è difficile creare rapporti extra calcistici spostandosi spesso. Chiaramente quando hai un obiettivo comune i ragazzi del gruppo diventano come fratelli ma se l’obiettivo viene meno scema anche l’intensità del rapporto”.

10 maglie in 14 stagioni, 7 squadre cambiate negli ultimi 5 anni, valigia sempre pronta per una nuova sfida, quanto è stato difficile rimettersi in gioco ogni volta?
“Spesso quando mi chiedono dove abito rispondo ‘in macchina’. Per me non è assolutamente difficile, cambiando ambiente hai sempre nuovi stimoli nel farti apprezzare come calciatore, come persona, nel conoscere nuovi ambienti, città e modi di pensare. Mi sono abituato a spostarmi anche se non nego che fermarsi in un posto per un biennio o un triennio non mi dispiacerebbe per cercare di trovare nuovi stimoli nello stesso luogo”.

Sei riuscito a costruire rapporti veri nonostante il girovagare del pallone?
“Come ti dicevo prima è facile costruire rapporti quando hai un obiettivo comune e in quei frangenti ti unisci particolarmente, vivi sempre vicino ai tuoi compagni e ti aiuta a costruire rapporti che però poi con il venir meno dell’obiettivo scemano di intensità e si perdono. Credo di non aver avuto mai cattivi rapporti con i compagni, tranne in rari casi, di essermi sempre relazionato con tutti, di risentire tutti con piacere, ma forse per il mio carattere o per il girovagare non ho costruito solidi rapporti che potessero andare oltre il calcio…”.

Che vita ti sei immaginato una volta smesso di giocare?
“Se dovesse esserci la possibilità di avere un ruolo ancora in questo mondo sarebbe piacevole continuare ma sinceramente credo che non avrei problemi a calarmi in una situazione di lavoro ‘normale’. Adesso non ci penso, vorrei ancora togliermi qualche soddisfazione

Tra dieci anni ti guardi indietro e…?
“Dico che belli sono stati questi ultimi dieci anni da calciatore” – risponde scherzando ma non troppo. Poi torna serio e continua – “tra dieci anni credo dirò che sono stato fortunato a fare un ‘lavoro’ che sognavo da bambino. L’ho sempre fatto con passione e dedizione e credo, per ora, di non aver rimpianti.

Quindi ti senti fortunato?
Sì, mi sento fortunato. Credo che molti ragazzi avrebbero voluto fare la mia modestissima carriera, quindi io che sono riuscito a farla, anche se non credo molto nella fortuna, mi sento fortunato. Forse perché l’ho voluta fare, penso a qualche ragazzo dotatissimo tecnicamente che magari si è perso in qualche squadra di prima categoria…”.

E’ uno che si è guadagnato tutto sul campo, col sudore, uno che deve dire pochi ‘grazie’ a parte quelli alle persone a cui tiene. Deve dire grazie alla determinazione, patrimonio genetico ma anche dote che si impara da piccoli e si allena giorno dopo giorno. Quando gli chiedo cosa ha imparato dal calcio risponde: “Beh, mi ha insegnato il valore del sacrificio, del lavoro costante, di fare un lavoro con passione, mettendoci tutto altrimenti è meglio lasciar perdere. Mi ha insegnato che non tutte le persone sono così buone e bisogna conoscerle prima di fidarsi ciecamente”.

Farei conoscere Fabio a chi pensa che i calciatori siano ‘undici in calzoncini che rincorrono una palla’ perché usando le sue parole “E’ diverso. Ci sono ragazzi con i loro caratteri, le loro insicurezze, i loro pregi e i loro difetti che fanno un lavoro, che lo fanno con passione, che lo fanno con sacrifici, che lo fanno magari lontano da famiglie o amori e danno tutto per raggiungere risultati che possano gratificare loro stessi, i datori di lavoro e il pubblico”.

Rifaresti tutto?
Non ho rimpianti, ho fatto tutte le mie scelte perché credevo fossero le migliori in quel momento. Magari qualcuna con il senno di poi è risultata sbagliata ma sono stato sempre convinto nel momento in cui le ho prese.

Credi in Dio?
Sì credo in Dio, la fede me la porto sempre in giro con me.

Non ho mai incontrato una persona con la stessa fermezza, non ho mai conosciuto un ragazzo che sarebbe rimasto lo stesso pur finendo sulla Gazzetta dello Sport col nome dietro la maglia, eppure Fabio Cusaro la risposta più bella la dà alla fine, quando gli chiedo in che momento ha capito che avrebbe vissuto di calcio.
“Non l’ho ancora capito perchè so che la carriera può essere talmente breve che devi anche pensare a un futuro senza calcio. Me ne sono accorto quando sono andato via di casa, a Cesena. Lì ho pensato che se avessi voluto fare il calciatore era il momento di accelerare”.

Fabio Cusaro, quello attorno a cui si strinse Cesena, è tutto in queste parole, e se gli chiedeste che lavoro fa probabilmente risponderebbe: “Sto finendo Economia”. Alcuni di quei “Bisoli Boys” sono arrivati in serie A, c’è chi ha segnato in un derby di Milano e chi ha vestito la maglia azzurra. Tra questi c’è anche un difensore senza fissa dimora che intanto si è comprato il navigatore ma ha la stessa voglia di sgobbare di quando sbagliava strada e non sembra affatto stanco perché, in fondo, a pallone ci possono giocatore tutti ma a calcio soltanto in pochi.




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