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ALLA FINE E’ SOLO UN GIOCO

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Per sette anni la difesa del Novara l’ha guidata un romagnolo doc, uno che nella vita si è guadagnato ogni metro conquistando la fascia da capitano e una promozione da protagonista in C1 nel 2002-2003.
Sandro Ciuffetelli ha lasciato così tanti bei ricordi in maglia azzurra da essere considerato un novarese acquisito e quando ha fatto le valigie per andare a Ravenna sono sicuro che il groppo in gola sia venuto anche a lui.

Chi l’ha allenato lo definisce un difensore dall’ottimo senso della posizione e la buonissima tecnica, tanto da collezionare 27 reti in carriera, bottino rarissimo per un centrale, grazie anche alla freddezza dal dischetto. I suoi ex compagni hanno speso parole al miele definendolo un leader dentro e fuori dal campo, un ragazzo sempre pronto alla battuta e a tendere la mano ai più giovani.

Lasciata Novara chiude la carriera vicino a casa e nel 2011, dopo tre stagioni a Ravenna condite dai soliti gol e il patentino da allenatore, lascia il calcio giocato mentre la società fallisce travolta dall’inchiesta “Paoloni-Gervasoni” che coinvolge i dirigenti. Per Ciuffetelli, che sperava di fare esperienza proprio a Ravenna, è una mazzata.
Fin qui niente però di strano, sembra una storia come tante, il percorso lineare di un giocatore che dopo mille battaglie appende le scarpe al chiodo per provare a misurarsi con la realtà della panchina. Non sa che dietro l’angolo c’è una vicenda grottesca che cambierà per sempre la sua vita e lo sguardo su un mondo in cui non si riconosce più.

Siamo nell’estate 2012, il Riccione si appresta a esordire in campionato in casa del Tuttocuoio mentre in ritiro iniziano a girare strane voci riguardo un’altra squadra che il giorno dopo si sarebbe presentata per giocare al loro posto. Si pensa a una boutade, uno scherzo messo in piedi per distogliere l’attenzione dalla partita, ma quando la domenica arrivano al campo trovano lo spogliatoio occupato da ‘un altro Riccione’. A quel punto a Ponte a Egola, frazione di San Miniato, succede il finimondo con le due squadre che rivendicano il diritto di scendere in campo e l’arbitro che si trova costretto ad annullare  il match mentre arriva una pattuglia dei carabinieri a sedare gli animi.

Per dieci minuti dimenticate l’ecstasy, le discoteche e le cronache che hanno inquinato Riccione; prendete il meglio della capitale romagnola del divertimento, aggiungeteci il sapore genuino di una piadina, mettete il pallone in mezzo a tutto questo e otterrete una storia irripetibile.
Riccione è la sede estiva di Radio Deejay e allo stesso tempo la meta preferita delle famiglie con i piccoli, su queste spiagge hanno trovato terreno fertile gli approcci da vitelloni delle commedie anni ’80 ma la tradizione continua col pellegrinaggio dei diciottenni che la considerano ancora un luogo di culto. I B-nario, duo-meteora di fine anni ’90, cantavano “Ma quali spiagge esotiche, ragazze col bikini, sul viale Ceccarini c’è di più!” e a pensarci bene una storia così assurda non poteva che succedere in una città così ricca di sfaccettature e contraddizioni.

A guidare il Riccione del patron Galli, quello vero diciamo, che pochi giorni prima aveva giocato in Coppa Italia contro la Vis Pesaro, c’era proprio Sandro Ciuffetelli  che ricorda bene quel pomeriggio: “Loro sono arrivati la mattina presto con una pulmino e noi, che eravamo in ritiro, siamo arrivati dopo. Anche gli addetti tra un po’ di stupore hanno aperto i cancelli alla prima squadra arrivata”.

Non parla volentieri della vicenda perché dopo il triste epilogo di Ravenna si era messo in gioco partendo dalla serie D, lo strano limbo in cui convivono vecchie volpi a fine carriera e giovanissimi che aspirano al professionismo: “Ero disposto a fare la gavetta andando ad allenare fuori casa quasi a gratis pur di inseguire il sogno di allenare e a Riccione avevo una grossa responsabilità perché il ragazzo più vicino era di Napoli”.

Come sia potuto accadere non si è mai capito ma la querelle societaria fu il risultato di un attrito tra la nuova e la vecchia proprietà di Croatti e Di Tora che, con evidente negligenza della Lega, iscrisse un’altra squadra rivendicandone il titolo.

Lo stadio Leporaia fu la prima e l’ultima tappa di quel campionato per Ciuffetelli che dimettendosi subito ebbe la possibilità di legarsi ad altre società: “E’ stata fatta una deroga visto l’accaduto perché altrimenti sarei dovuto star fermo tutta la stagione”. La Federazione per l’imbarazzo svincolò gran parte dei giocatori mentre l’annata del Riccione culminò con una brutta retrocessione, frutto di una compagine allestita in tutta fretta fondendo i resti dello sdoppiamento.

“Forse era un segnale che non avrei dovuto allenare” – ci scherza su il Ciuffo ma il destino gli ha riservato davvero strani incroci: prima il fallimento del Ravenna, poi la telenovela di Riccione e prima ancora la partenza da Novara all’alba dell’era De Salvo, il presidente della fulminea scalata in serie A. Quando gli chiedo se c’è un po’ di rammarico per aver lasciato la città nel momento sbagliato risponde con la solita battuta: “Forse ho portato fortuna andandomene! A parte gli scherzi non credo che la separazione fosse inevitabile. Quando è arrivato De Salvo aveva progetti importanti come Novarello che mi hanno fatto pensare che in 5-6 anni sarebbe arrivato in serie A. Mi disse che avendo appena rilevato la società non si sarebbe mai permesso di mandar via il capitano. Dopo una dichiarazione del genere non potei che rimanere ma dopo una stagione ho fatto una scelta di vita perché avevo trent’anni e volevo avvicinarmi a casa. Non ti nego che col senno di poi mi sarebbe piaciuto rimanere e vincere un campionato di C1 e giocare in B ma  dopo sette anni era arrivato il momento di cambiare aria”.

La verità è che Sandro Ciuffetelli non si è mai preso troppo sul serio,  in sala stampa ci andava col sorriso e ha sempre vissuto il calcio per quello che è: un gioco. Così, superato un momento di crisi dopo il disastro di Riccione, scende in Eccellenza dove al Russi riveste il ruolo di giocatore e allenatore delle giovanili, esperienza che ripete ad Alfonsine. E’ immerso nel dilettantismo puro, ben lontano dagli stadi in cui ha sgomitato per anni eppure c’è qualcosa che non va; forse è saturo di questo mondo o forse non è il futuro che si era immaginato.

Intanto arriva la notizia che la squadra del suo paese, il Porto Fuori Calcio, è sul punto di sparire per la morte dello storico presidente Aldino Salbaroli, l’uomo che gli permise di entrare nelle giovanili del Cesena e sognare una vita da calciatore. Quella vita da calciatore che inizia nello storico Baracca Lugo dove per poco non incrocia un certo Alberto Zaccheroni che allena la prima squadra mentre il Ciuffo è in Primavera. I suoi  strani incroci del destino insomma.
A quel punto non ci pensa due volte e prende in mano la situazione un po’ per riconoscenza, un po’ per affetto e un po’ perché è l’unico modo di rimanere fedele a questo gioco.

Ciuffetelli Porto Fuori Calcio 2

Come si vede il Ciuffo per la squadra del suo paese fa un pò di tutto

Quando parla del presente s’illumina: “Oggi mi sono dovuto reinventare, come lavoro faccio l’assicuratore ma questo è un impegno che mi assorbe davvero tantissimo. Dopo l’episodio di Riccione mi era scesa un po’ la catena e forse allenare non era la mia prerogativa. Mi piace di più stare coi bambini perché già in serie D ci sono troppe dinamiche spiacevoli. Facciamo la Terza Categoria e ho anche giocato un paio di partite coi miei amici ma la cosa più importante è che da 20 bambini oggi ne abbiamo 120 e copriamo tutte le categorie. Lo faccio per il mio paese”.

Ciuffetelli Porto Fuori Calcio

Un selfie sul pulmino coi giovanissimi calciatori del Porto Fuori

Lo avevo raggiunto per saperne di più su una vicenda assurda, una di quelle storie di cui nessuno avrebbe più parlato, e dall’altra parte ho trovato un uomo che ancora una volta mi ha ricordato che esistono giocatori cresciuti a pane e calcio senza dimenticarne l’essenza.

Ma quello che mi ha colpito veramente del protagonista di questa storia è che abbia ritrovato se stesso dedicandosi ai bambini, colori i quali vivono il calcio in modo irrazionale e senza doppi fini e che più di tutti incarnano la frase del filosofo Schiller, scelta come sottotitolo per il sito del suo Porto Fuori Calcio: “L’uomo è interamente uomo soltanto quando gioca”.

Così sia Ciuffo.

 




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