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IL VIAGGIO DEL SAMBU

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E’ nato tutto per gioco. Lionel Messi centra ripetutamente la traversa e sfida in un video chiunque sappia fare di meglio. Rispondono in tanti, tra cui Massimiliano Sambugaro, talento più volte a un passo dal professionismo e oggi impiegato, spinto dai suoi ragazzi: “Dai mister, provaci!”
Ci sa fare il Sambu, eccome. Battezza traverse con la frequenza con cui Jerry Lee Lewis stressa i tasti del piano in Great Balls of Fire. Scende le scale, infila di tacco il pallone nel cestino, se lo alza in modo improbabile e quando palleggia annulla la gravità.
I suoi video sono calamita. Il bello è che non c’è il classico freestyler in cerca di notorietà ma uno che preferisce Puma King o Copa Mundial ai plasticoni fluo, uno svezzato dal retropassaggio al portiere e l’arbitro che non segnalava il recupero. Il video diventa virale, lo chiamano in molti ma niente sconvolge il suo quotidiano.
Qui finisce una storia come tante. Simpatica, ma come tante.

L’8 marzo Sergi Roberto infila il 6-1 al PSG a 20 secondi dalla fine e proietta il Barca ai quarti di Champions. Il 17 marzo l’urna di Nyon accoppia i blaugrana alla Juve. Qui inizia una storia unica, che non arricchisce la tradizione secolare dei club ma le quarantacinque primavere del nostro protagonista.
Incontrare Messi sarebbe il Nirvana calcistico per il Sambu e per farlo s’inventa qualcosa di molto più grande rispetto alla solita processione per ricevere la benedizione, sotto forma analogica di un autografo o digitale di un selfie: parte per un vero e proprio pellegrinaggio.

Romano d’Ezzelino-Torino. 400 chilometri, 410 per essere precisi. Cambia poco. In dieci giorni. A piedi. In compagnia solo di un pallone per sciogliere muscoli e pensieri. Una media di quaranta chilometri al giorno, un viaggio massacrante per guarire le proprie ferite. Perché ogni cammino ha qualcosa di spirituale.
La provincia vicentina gli ricorda le centinaia di gol segnati tra Eccellenza e Serie D, il mal di gambe gli ricorda quanti anni siano passati. Ma l’emozione è fresca come se quel derby fosse appena finito.

Ha la faccia di uno a cui non potrai concedere un solo metro in novanta minuti. Perché sarà fatale. Non lo conosco, c’ho parlato mezz’ora al telefono, ma di attaccanti ne ho marcati tanti e per accorgermi di certe cose basta una foto.
Il suo viaggio moltiplica dieci volte la fatica dei piedi feriti dalle vesciche tipiche d’inizio stagione. Mentre l’afa ti avvolge e il sudore acido brucia gli occhi. Conosco quella sensazione, la ripesco nello scrigno dei ricordi guardando la foto dei suoi piedi sopraffatti da fango e cerotti squagliati dall’asfalto. A un certo punto ha tolto le scarpe tanto erano gonfi quei piedi.
Le foto di un ciliegio, sul ciglio della statale o davanti alle gradinate del Menti, nascondono la fatica solo a chi non ha mai assaggiato il sapore di una preparazione atletica, un sacrificio condiviso coi compagni. Stavolta nessuno gli darà una pacca sulla spalla o gli passerà la borraccia. Alla sera c’è il tempo di una preghiera per avercela fatta e di notte il sogno d’incontrare il proprio mito.

Dopo 100 km i quadricipiti hanno ancora la forza di dar vita a un palleggio elegante. Gli aprono le porte del Bentegodi e non può resistere. Mentre il lago di Garda profuma di miele, alterna corsa e camminata per diversificare l’uso dei muscoli e distribuire le risorse. Ovunque gli aprano il cancello di uno stadio, più o meno grande non importa, entra per battezzare la traversa. Ringrazia i magazzinieri e continua a costeggiare canali e tagliare per i campi.
Vorrebbe regalargli Wilson, il suo Diadora Samba che l’ha accompagnato nel suo Cast Away. Quel pallone l’ha fatto sentire meno solo, nonostante moglie e figlia sempre più lontane. Chilometro dopo chilometro. Passo dopo passo.

Per molti è un pazzo. Per tutti quelli che non sanno cosa si provi a isolarsi alzando il pallone col collo del piede.
Per tanti è un folle. Per tutti quelli che non sono mai riusciti a dimenticare i guai calciando una palla contro il muro.
Per altri è un giusto. Per chi è riuscito a isolarsi dai problemi palleggiando, entrando in un mondo allo stesso tempo così intimo e condiviso come il calcio. E allora l’idea di cercare un po’ sé stessi e fare i conti con la propria vita. I problemi se non li affronti ti rincorreranno sempre e Sambu decide che era arrivato il momento di mettersi in gioco, grazie a un percorso che giorno dopo giorno gli ha sbattuto in faccia dolori inimmaginabili. Chiunque abbia giocato sa che prima o poi, anche diminuendo i ritmi, dovrà fare i conti col proprio punto debole. Ognuno ha il suo. Lui ne scopre di nuovi, come succede per ogni sfida. Lo zaino, il sudore sulla schiena, provocano escoriazioni. E allora lo gira, non può fermarsi. E’ a metà strada e il giorno della partita si avvicina.

Se state immaginando sponsor dietro tutto questo avete sbagliato storia; non ha guadagnato un euro ma al traguardo si è sentito molto più arricchito di quanto potesse sperare.
Se pensate che ci sia stato qualcuno a monitorare il suo percorso siete fuori strada. Mentre lui fuori strada c’è finito davvero.

La felicità è reale solo quando condivisa scrive Christopher McCandless e in questa bella storia c’è spazio per i messaggi che riceve da chi empatizza col suo viaggio. Sente il calore della sua gente e l’incoraggiamento di chi lo incita senza mai averlo incontrato.
Quando si è perso nel bresciano ha pescato la forza per reagire in un cantuccio rimasto inesplorato da tempo. Quell’angolo da cui attingeva la linfa per cambiare le partite nell’ultimo quarto d’ora.
Nel giorno del suo compleanno, a 137 chilometri dal traguardo, battezza la traversa del Fanfulla. Non è sicuro di farcela. Non puoi avere la certezza di finire un viaggio del genere perché non ha mai fatto i conti con le insidie che troverai lungo il cammino.
Quando varca il confine del Piemonte è quasi fatta ma tra quasi e fatta ci sono ancora cento chilometri. La traversa nello stadio del Chivasso, a 20 chilometri dalla meta, è l’ultima ad essere timbrata. E’ arrivato a Torino venerdì e tra un inchino alla Sacra Sindone e una passeggiata al Filadelfia ha ringraziato chi gli ha permesso di farcela. Manca solo quell’incontro.

A questo punto, se siete arrivati fin qui, vi starete chiedendo se abbia incontrato Messi. Giornali ed emittenti spagnole si sono prodigati per farglielo conoscere ma niente. La partita è un bunker nel quale nessuno può entrare.
Leggendo il suo diario non sembra essersela presa perché durante questo cammino, ad ogni metro, ha conosciuto meglio una persona molto più importante: sé stesso.
“La strada mi ha insegnato a stare al mondo ed ora mi sta allenando ad allargare il cuore”.
C’è chi si avventura sulle pendici del Tibet, chi si perde in India, chi si lascia disintegrare dalla vastità dei ghiacci polari e chi parte da Romano d’Ezzelino per raggiungere Torino.

E’ pur sempre un viaggio interiore. Non c’è niente di più vero. Credetemi. Anzi, credetegli.

“Lo spirito è più forte anche del fisico.
La preghiera e il sacrificio cambiano le leggi naturali”
Massimiliano Sambugaro




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